La storia Egizia - Bassa Epoca o Epoca Tarda

Da lungo tempo si sentiva la necessità di unificare un mondo lacerato da continui conflitti e questa unificazione doveva ora esser tentata su vasta scala. L'iniziativa venne dalla parte più inattesa, la Persia.
La Persia è il paese situato sul lato orientale del Golfo Persico ed estendentesi per lungo tratto nell'entroterra con Persepoli e Pasargade come capitali. Di questa regione montuosa e in parte inospitale era originaria la famiglia ariana degli Achemenidi dalla quale uscì il grande conquistatore Ciro II (558-529 a.C. circa). Il primo paese a essere invaso dai Persiani fu la Media dove Astiage, figlio di Ciassare, non poté opporre che una debole resistenza prima di esser cacciato dalla propria capitale, Ecbatana, a metà strada fra Susa e il mar Caspio. Fu poi la volta della Lidia. Prevedendo ciò che stava per accadere il suo re, Creso, aveva cercato di allearsi con l'Egitto, Babilonia e Sparta, ma prima che giungesse il loro aiuto, Sardi fu catturata (546 a.C.) e la Lidia cessò di esistere come regno indipendente. Le città della costa ionica rimasero alla mercè del sovrano persiano che le affidò ai suoi generali per esser libero di volgere altrove le proprie forze. Naturalmente il prossimo obiettivo era Babilonia, ma Ciro non aveva alcuna fretta di affrontarla. Vi regnava allora Nabonido, dotto sovrano e studioso di archeologia, dopo un esilio di dieci anni a Taima nell'Arabia dal quale era tornato nel 546 a.C. su invito dei propri sudditi che prima erano stati in dissenso con lui. Nel 539 a.C. Ciro occupò Babilonia risparmiando, con tipica saggezza, la vita del re e confinandolo nella lontana Carmania come governatore o esule. Un impero tanto vasto richiedeva naturalmente un'opera di consolidamento e per qualche anno si hanno scarse notizie di imprese militari di Ciro. Egli si rendeva però conto della necessità di conquistare l'Egitto, e affidò questo compito al figlio Cambise. Quanto a Ciro stesso, perì nel 529 a.C. combattendo per respingere un attacco di orde turaniche sulla frontiera settentrionale; in trent'anni si era elevato dai suoi umili inizi fino a divenire il più potente monarca che il mondo di allora avesse mai conosciuto.

Le difficoltà connesse con la successione tennero impegnato Cambise per i tre anni successivi, ma l'assassinio del fratello Smerdi lo lasciò libero di proseguire l'impresa affidatagli dal padre. La Fenicia si era sottomessa spontaneamente, fornendogli una flotta preziosa per le future operazioni. Cambise mosse allora contro l'Egitto, da pochi mesi governato dal faraone Psammetico III.
La battaglia di Pelusio fu combattuta con disperata tenacia (525 a.C.), ma alla fine gli Egizi ripiegarono in disordine a Menfi che si arrese solo dopo un lungo assedio. L'Egitto passò così in mano ai Persiani (XXVII dinastia di Manetone).

In questo periodo sopravvenne un notevole cambiamento nella civiltà della terra dei faraoni fino allora rimasta più o meno uniforme. Come prima la popolazione indigena usava nel disbrigo dei propri affari la lingua d'origine, scritta in una forma estremamente corsiva, nota ai Greci come encoriale o demotica. Ma per quanto concerneva il governo l'Egitto era ormai la più remota provincia di un grande impero straniero. Il re persiano, suo supremo signore, risiedeva a Susa o Babilonia e lasciava l'amministrazione vera e propria in mano a un governatore locale, detto satrapo. Per tutti gli scopi burocratici veniva impiegata la lingua aramaica, idioma semitico del Nord che, dopo essersi diffuso in Mesopotamia a opera dei popoli ivi deportati, si era in seguito propagato al Sud grazie fra gli altri agli esuli Ebrei cui Ciro aveva concesso di tornare nella patria d'origine; in Palestina questa lingua aveva finito per sostituire completamente l'ebraico. Non si deve credere che in Egitto l'uso dell'aramaico fosse limitato agli Ebrei anche se si sarebbe portati a dedurlo dalle numerose e sensazionali scoperte di papiri scritti in questa lingua nell'isola di Elefantina, subito a nord della prima cateratta. Anche se le persone di cui questi papiri rivelano i molteplici e svariati interessi erano tutte o in massima parte Ebrei si dovrà osservare che esse appartenevano a una guarnigione di frontiera ed erano perciò al servizio del regime persiano.
Comunque la prova più convincente che l'aramaico era la lingua ufficiale dell'amministrazione persiana è fornita da un gruppo di lettere per lo più dirette ai suoi subalterni in Egitto dal satrapo Arsame che rimase in carica per tutto l'ultimo venticinquennio del secolo V. Queste lettere provenivano senza dubbio dalla cancelleria del satrapo, con sede probabilmente a Menfi.

Con il passare degli anni, lotte intestine, legate alla successione al trono, indebolirono il grande impero Persiano. Ne approfittò l'Egitto che, con Amirteos (XXVIII dinastia) riottenne l'indipendenza.
Da questo momento fino alla conquista di Alessandro Magno nel 332 a.C., la politica estera dell'Egitto non mirò che a difendere la propria indipendenza da un impero ostinato a considerarla una semplice provincia ribelle. L'Egitto riuscì nel suo scopo, tranne che per il breve lasso di un decennio proprio alla fine di questo periodo. Un continuo ostacolo era comunque la rivalità fra le varie famiglie principesche del delta.
Per notizie meno vaghe dobbiamo basarci interamente sugli autori greci. Da Senofonte si apprende che la Persia aveva radunato nella Fenicia un forte esercito destinato senza dubbio a sottomettere l'Egitto. Di conseguenza le città greche dell'Asia Minore, che si erano schierate al fianco dell'Egitto, si trovarono anch'esse in grave pericolo. Per soccorrerle Sparta, malgrado i forti obblighi verso Ciro, entrò in guerra contro la Persia, la cui potenza era ancora assai temibile (400 a.C.). Il conflitto durò vari anni. Nel 396 a.C. Sparta cercò di stringere con l'Egitto un'alleanza che le venne prontamente accordata.
Non molto tempo dopo, nel 393 a.C., salì al trono Achoris, e poiché l'alleanza con Sparta si era dimostrata svantaggiosa, si affrettò a cercare aiuto altrove, e lo trovò per mezzo di un trattato con Evagora, l'abile e ambizioso re di Salamina di Cipro, che aveva già imposto la sua signoria a varie altre città dell'isola. L'amicizia di Evagora con Conone portò di conseguenza gli Egizi a una stretta collaborazione con Atene. Ma intanto sia la Persia che Sparta si erano stancate della guerra, e nel 386 a.C. fu conclusa la pace di Antalcida, che lasciava alla Persia mano libera in tutte le città greche dell'Asia Minore in cambio dell'autonomia di tutti gli altri stati ellenici.
Così Achoris ed Evagora rimasero soli e Artaserse fu libero di affrontare l'avversario che preferiva. Per primo attaccò l'Egitto, che aveva avuto il tempo di tornare a essere un paese ricco e forte; Cabria, uno dei migliori generali dell'epoca, lasciò Atene per mettersi al servizio di Achoris. Su questa guerra si hanno scarse notizie, salvo il fatto che si protrasse fino al 383 a.C. e che il polemico oratore ateniese Isocrate ne diede un giudizio sprezzante. Evagora si dimostrò di grande aiuto spingendosi con le sue truppe entro il campo nemico e catturando Tiro e altre città della Fenicia; ma in seguito la fortuna l'abbandonò e, dopo aver perso una importante battaglia navale, fu assediato nella sua città di Salamina. Aveva tenuto in scacco la Persia per più di dieci anni, al termine dei quali i dissensi scoppiati fra i capi persiani li indussero ad accettare la sua resa a condizioni onorevoli (380 a.C.).
Dopo esser rimasto a lungo fedele vassallo del re di Persia, Evagora cadde vittima di una cospirazione. L'Egitto si trovò così ancora una volta da solo contro la Grande Persia.

Con la XXX Dinastia ebbe inizio l'ultima dinastia indipendente dell'Egitto.
Il numero di monumenti lasciati dai sovrani della XXX Dinastia potrebbe dare l'impressione di un periodo d'ininterrotta pace e prosperità. Ma dagli storici greci, dei quali Diodoro è ancora una volta il principale esponente, viene alla luce una storia ben diversa. In Persia regnava ancora Artaserse II (404-358 a.C.) più deciso che mai a umiliare l'Egitto e a ricondurlo alla precedente sottomissione. Ma i preparativi per l'invasione procedevano con grande lentezza. Per prima cosa il Gran Re fece pressioni su Atene perché richiamasse dall'Egitto il valente generale Cabria, che dovette accontentarsi di un incarico militare in patria. Il grande esercito persiano, guidato dal satrapo Farnabazo e dal comandante dei mercenari greci Ificrate, non partì da Acre che nel 373 a.C.. Raggiunta Pelusio, fu chiaro che un attacco da quel lato era impossibile, ma che l'una o l'altra delle foci del Nilo meno fortificate offriva migliori speranze di successo. E fu proprio così; la barriera del ramo di Mendes venne forzata e molti egizi furono uccisi o catturati. Contro il volere di Farnabazo, Ificrate tentò di spingersi fino a Menfi, e mentre l'antagonismo fra i due comandanti ritardava l'azione persiana, le truppe di Nekhtnebef ripresero forza e circondarono gli invasori da tutti i lati. In buon punto sopraggiunse in aiuto degli Egizi la piena del Nilo; le parti del delta non completamente sommerse dalle acque si trasformarono in palude e i Persiani furono costretti a battere in ritirata. Per la seconda volta l'Egitto fu salvo.
Il figlio di Nekhtnebef, Teos, giunse a tentare un attacco diretto contro la Persia. Alleatosi ad Agesilao e al generale Ateniese Cabria mosse contro la Fenicia. Durante questa campagna però Agesilao diede il suo appoggio ad Nekhtharehbe che diventò faraone, mentre Teos fu costretto all'esilio in Persia. La spedizione fallì.
Nel 358 a.C. l'ascesa al trono di Artaserse III Oco infuse nuova vita al vacillante Impero persiano. Fu ristabilito l'ordine fra i satrapi dell'Asia Minore, ma lo sforzo richiesto fu tale da precludere ogni velleità di aggressione contro l'Egitto. Nondimeno verso il 350 a.C. Artaserse era pronto alla guerra. Non se ne conoscono i particolari, ma il fallimento fu completo col risultato che ovunque scoppiarono rivolte contro la dominazione persiana, con la Fenicia e Cipro in prima linea.
L'obiettivo più importante rimaneva l'Egitto, essendo questo l'unico paese che poteva fornire in abbondanza oro e grano, e la sua riconquista era indispensabile. Prima però si dovevano fare i conti con la Fenicia e la Palestina. Sidone, al centro della rivolta, si era attirata le rappresaglie persiane con un violento e rovinoso colpo di mano contro gli occupanti. Temendone le conseguenze, si era rivolta per aiuto all'Egitto, ma Nekhtharehbe si era limitato a inviarle un piccolo contingente di mercenari greci comandati da Mentore di Rodi. Diodoro narra la storia dei pochi anni successivi con grande abbondanza di particolari. I preparativi di Artaserse furono imponenti e ancor prima dell'arrivo di massicci rinforzi dalle città della Grecia continentale e dell'Asia Minore egli riuscì a infliggere un terribile castigo a Sidone; il suo re, Tenne, si accordò proditoriamente con Mentore per consegnare la città al nemico, e di conseguenza gli abitanti incendiarono le navi e molti di essi cercarono volontariamente la morte tra le fiamme delle proprie case.
Nell'autunno del 343 a.C., l'esercito persiano, con a capo il Gran Re in persona, partì per la sua memorabile campagna contro l'Egitto. Il primo assalto fu sferrato contro la città di Pelusio che oppose una tenace resistenza. La straripante potenza Persiana ebbe però la meglio e una dopo l'altra tutte le città del delta capitolarono.
Nekhtharehbe, resosi conto che la situazione era disperata, fuggì in volontario esilio in Etiopia. L'Egitto era di nuovo una provincia persiana.
Questa seconda dominazione non durò che una decina di anni, ma con essa era terminata la storia delle dinastie Egiziane. Dopo più di 4000 anni di storia l'Egitto aveva terminato di essere un paese indipendente con una propria stirpe regnante. Dario III, ultimo re persiano, nominalmente regnò in Egitto quattro anni, ma già prima di questo termine l'impero persiano aveva cessato di esistere e il mondo antico aveva iniziato una nuova era.

Fra la XXXI e la XXXII Dinastia si colloca un poco conosciuto Khababash che assunse il ruolo di faraone. Un sarcofago di Api reca la data del suo secondo anno di regno, e il contratto nuziale di un sacerdote subalterno è datato nel primo anno. Maggiore interesse però offre una notizia ricavata da una stele del 311 a.C., quando il futuro Tolomeo I Sotere non era che satrapo d'Egitto. Nella forma questa lunga epigrafe è un’esaltazione delle grandi imprese di Tolomeo, ma ne è evidente il vero scopo a ricordare la restituzione di un tratto di terreno appartenuto da tempi immemorabili ai sacerdoti di Buto e confiscato da Serse, qui descritto come nemico e criminale. Khababash, dopo avere ascoltato le lagnanze dei sacerdoti che gli ricordarono come il dio Horo avesse per punizione scacciato dall'Egitto Serse e suo figlio, concedette quanto chiedevano, concessione riconfermata più tardi da Tolomeo. Ci sono due indizi per collocare storicamente Khababash: in primo luogo egli era evidentemente posteriore a Serse, e, secondariamente, pare che questa decisione fosse stata presa dopo avere esplorato le foci del Nilo attraverso le quali si poteva temere un'aggressione degli Asiatici, vale a dire dei Persiani. Un terzo indizio è dato dal fatto che il contratto nuziale era stato firmato dallo stesso notaio di cui si ha la firma sopra un altro documento del 324 a.C.. Da qui varie ipotesi, ma di certo si può dire soltanto che Khababash fu uno degli ultimi, se non proprio l'ultimo governante non persiano né greco che osò assumere il complesso dei titoli del faraone nato in Egitto, sebbene il suo nome sia decisamente straniero.

Il grande evento che determinò il destino dell'Egitto e la sua forma di governo per i tre secoli successivi fu la conquista di Alessandro il Grande nel 332 a.C..
L’ascesa della Macedonia a potenza mondiale era incominciata ad apparire possibile fin dal 338 a.C., quando Filippo II (greco per modo di dire), dopo aver soffocato ogni resistenza con la sconfitta di Atene e Tebe a Cheronea, aveva fondato una Lega ellenica che doveva alleare tutta la Grecia sotto la sua egida. Ma nessuno avrebbe allora potuto prevedere le brillanti vittorie che, nello spazio di dieci anni, fecero del suo giovane figlio Alessandro l'indiscusso padrone di tutto il mondo orientale. E’ probabile che neppure Alessandro sapesse bene che cosa si proponeva finchè non ebbe conquistato l'Asia Minore e costretto alla fuga Dario nella battaglia di Isso, una ventina di chilometri a nord dell'odierna Alessandretta (333 a.C.). E anche allora il suo primo pensiero non fu quello d'inseguire il monarca persiano, ma di assoggettare la Siria e l'Egitto. L’assedio di Tiro fu lungo e tedioso, ma, superato questo ostacolo, niente più gli intralciò il cammino fino a Gaza, che gli oppose una disperata resistenza. Nel 332 a.C. Alessandro raggiunse l'Egitto, il cui satrapo persiano si arrese senza colpo ferire.


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